Ho letto su un precedente numero della rivista la risposta data ad un lettore che chiedeva informazioni sul fatto che non riusciva a vedere la luce emessa da apparati di networking funzionanti su fibre SM. Leggendo la risposta ho appreso che le fibre ottiche lavorano con segnali non visibili all’occhio umano. Per quale motivo allora si vede una luce rossa nelle porte degli apparati?

Innanzitutto mi preme ricordare ancora una volta che, per non mettere a rischio la propria vista, non bisogna mai guardare dentro le fibre ottiche se non si ha la certezza che non siano attraversate da alcun segnale, nemmeno nei casi in cui le potenze in gioco sono molto basse ed i laser sono di classe non ritenuta pericolosa. Per rispondere ora al suo quesito è necessario partire un po’ da lontano con una premessa nel campo della fisica ottica. L’occhio umano percepisce una gamma di lunghezze d’onda che nel loro insieme costituiscono la cosiddetta luce visibile e che partono dai 390 nanometri del colore violetto (da cui il termine ultravioletto per le lunghezze d’onda sotto tale soglia) fino ai 770 nm del colore rosso. Le lunghezze d’onda superiori a 770 nm, anch’esse non visibili, cadono nella gamma dell’infrarosso.

Figura 1 – La porzione visibile all’occhio umano dello spettro elettromagnetico (EM)

Le lunghezze d’onda riportate nel disegno si riferiscono al punto di variazione di un colore rispetto all’altro, questi colori sono definiti monocromatici e sono la base per tutta l’infinita varietà di colori che si genera per “miscelazione” di queste lunghezze d’onda principali. Alcune specie animali, come ad esempio le api, possono vedere una gamma di lunghezze d’onda più estese rispetto all’occhio umano e quindi teoricamente possono vedere colori con tonalità a noi sconosciute perché si trovano nel campo dell’ultravioletto. Pare che questi colori siano presenti in alcuni fiori e segnalano agli insetti i punti per l’impollinazione.

Tornando al nocciolo della sua domanda, la risposta è abbastanza semplice: incominciamo col dire che se da una porta di comunicazione di un apparato di rete appare una luce visibile (di colore rosso) allora si tratta certamente di un segnale che funziona in prima finestra (su una lunghezza d’onda nominale di 850 nm). Ma non tutte le sorgenti che operano in questa gamma producono un effetto visibile all’occhio umano: questo fenomeno avviene soltanto con apparati di ‘vecchio tipo’, ad esempio quelli che lavorano in Ethernet (10Base-FL) o Fast Ethernet (100Base-FX) con transceiver in tecnologia LED. Questo tipo di sorgenti, che un tempo erano le più utilizzate in quanto estremamente economiche rispetto ai laser, presentano però uno spettro di emissione alquanto ampio.

Figura 2 – Spettro di emissione tipico di una sorgente ottica a LED

Il disegno illustra lo spettro di emissione tipico di un led: con il termine di FWHM (Full Width Half Maximum) si definisce la larghezza dello spettro di emissione in corrispondenza di una potenza pari alla metà del massimo livello nominale di emissione. Questo come la sorgente luminosa dell’emettitore non si limiti ad emettere su una determinata lunghezza d’onda, ad esempio 850 nm, ma distribuisca la sua energia su una gamma piuttosto estesa, tanto che una porzione non trascurabile di essa ricade al disotto dei 770 nm, e quindi all’interno dello spettro visibile.

Se osserviamo con attenzione disegno di Fig. 2, notiamo infatti che 50 nm sotto la lunghezza d’onda nominale (850 nm) abbiamo una potenza di soli 3 dB inferiore a quella dell’emissione massima e quindi ancora assai sostenuta; scendendo ulteriormente di 30 nm si entra nella regione della luce visibile, nel campo del colore rosso. È bene fare attenzione al fatto che, se la luce rossa che possiamo osservare è di debole intensità, essa non rappresenta che una piccola frazione dell’intero spettro emesso dalla sorgente che colpisce comunque i nostri occhi, anche se non la vediamo.